“A chi crede di aver capito i miei dipinti dico: «Lei è più fortunato di me»” (R. Magritte)
Un masso scabro sul prato fa inciampare lo sguardo. Il cancello del giardino è chiuso, il muro liscio e segmentato resta inviolato. Un lampione solitario rischiara la facciata di una casa dalla persiane serrate dal sonno. Qualcuno però è sveglio. In alto, due finestre illuminate raccontano di letture clandestine.
Un cielo estivo, azzurro e chiaro di soffici nuvole cumuliformi, incontra la notte vellutata in una strada urbana limitata dalla silhouette basaltica degli alberi.
Il corto circuito della logica esperienziale crea uno stato sospeso e poetico nell’anima.
René Magritte (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967), L’impero della luce (1953–54), Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.
