«Irene è così campigliesca che tutto diventa troppo facile, devo spiegare la sua tristezza» (M. Campigli).
Campigli ha riservato un’attenzione particolare alle donne: eleganti, all’ultima moda, le reinventa come idoli pagani, Dee madri ancestrali,
arcaiche sacerdotesse della nostra civiltà, archetipi geometrici che risuonano di tradizioni etrusche e che meditano sui ritratti del Fayyum.
Probabilmente il suo esser stato figlio illegittimo ha influenzato Campigli, più di altri artisti, nel rapporto con il femminile. Nelle sue opere le donne vengono collocate in una dimensione di mistero e alterità, immobili e distaccate, icone più che donne, idoli eterni.
Irene Brin – scrittrice, giornalista di costume, promotrice del Made in Italy nel mondo nel secondo dopoguerra – è ritratta con vitino di vespa stretto nel vestito da sera antracite, illuminato dalla vistosa collana di perle. La figura, contro uno sfondo bruciato scandito da una cancellata dalle inferiate mistilinee, evoca un’esibita e polverosa arcaicità.
Massimo Campigli, pseudonimo di Max Ihlenfeldt (Berlino, 4 luglio 1895 – Saint-Tropez, 31 maggio 1971), Ritratto di Irene Brin, 1954

