Natività della Vergine di Carpaccio


Venezia, inizi ‘500. In una casa del tempo, abbiente ma non sfarzosa, è messa in scena la nascita di Maria. Sant’Anna, sdraiata nell’alcova, si riposa dopo le fatiche del parto. Gioacchino entra in punta di piedi nella scena dalla parte opposta della stanza, unico uomo intimorito in un contesto di sapienza muliebre.
Un lungo, silenzioso cannocchiale prospettico si apre al centro. Porte aperte ci fanno accedere a stanze lontane, e sembra che tutto lo sfondo sia una complessa scenografia teatrale.
Dal giardino giunge una domestica con le provviste mentre un’altra è affaccendata vicino al focolare.
Nella camera principale, le serventi sono indaffarate nella cura: una giovane offre del brodo caldo alla neo mamma; la nutrice, anziana e pesantemente vestita, sta per fare il bagnetto alla neonata; una terza, seduta di spalle, su un parapetto ricoperto da un prezioso tappeto orientale, prepara le fasce.
Al valore simbolico di amore e fertilità vanno ricondotti i due simpatici coniglietti al centro della scena, intenti a rosicchiare una foglia di cavolo, questo invece simbolo della passione, da controllare. Le iscrizioni in ebraico connotano il raffinato clima culturale e la profonda erudizione che veniva richiesta dai committenti del tempo. La luce tersa e cristallina abbraccia la scena e guida lo spettatore nella scoperta di particolari che rendono la scena vivace e di facile immedesimazione. Umano e divino rivivono nella pittura e condividono le stesse stanze.
Il celebre telero fa parte del ciclo “Storie della Vergine”, realizzato da Carpaccio per la Scuola degli Albanesi a Venezia, fondata nel 1442 ed edificata agli inizi del ‘500, in corrispondenza con la realizzazione di questo ciclo.

Versatile nel racconto, sapiente prospettico con il gusto del quotidiano e dell’insolito, Vittore Carpaccio diviene un protagonista assoluto in questo campo.

Vittore Carpaccio  (1465–1526), Natività della Vergine (Scuola degli Albanesi), 1502-08, Bergamo, Accademia Carrara.


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