La capitale del Regno Asburgico ha vissuto nell’ultimo quarto del XIX secolo un momento di grande fermento culturale: Sigmund Freud elaborava le sue teorie sull’inconscio, Arthur Schnitzler raccontava nei suoi romanzi i conflitti interiori dell’uomo, il compositore Arnold Schoenberg sperimentava le composizioni “pantonali”.

Nel contempo la città si vestiva di nuovi grandiosi edifici in stile storicistico lungo la Ringstrasse, senza considerare i cambiamenti che erano in atto nel resto d’Europa. In questo scenario si muove Gustav Klimt (Baumgarten, Vienna, 14 luglio 1862-Neubau, 6 febbraio 1918), uno dei pittori più amati dal pubblico.

Inizialmente influenzato dal padre decoratore e dalla formazione alla scuola di arti e mestieri, dopo gli studi accademici, nel 1883, Klimt fonda la Compagnia degli artisti, che in un primo momento si adegua al gusto storicistico imperante, e vince alcune importanti commissioni pubbliche, come la decorazione del Burgtheater e delle sale interne del Kunsthistorisches Museum.

Affascinato dalla potenza evocativa del simbolismo, dopo una cristi esistenziale, nel 1892 Klimt comincia a definire il suo nuovo stile, orientato verso un gusto più ornamentale e decorativo, seducente e allusivo piuttosto che descrittivo e realistico.

Nel 1897 il gruppo di artisti di cui fa parte vuole andare oltre le istanze più commerciali e rassicuranti dell’arte dominante, in nome di una nuova opera d’arte totale, in cui tutte le arti concorrano a rinnovare l’estetica della società.
Nasce la Secessione e viene progettata una sede adatta che ne sia un manifesto visivo: semplici forme – una serie di cubi a incastro con l’originale cupola di foglie dorate – sono l’innovativa scelta estetica a firma dell’architetto Joseph M. Olbrich, in collaborazione con l’autorevole Otto Wagner e con Klimt come interprete della parte decorativa, dell’innovativa cupola foglie dorate.

In questi anni viene pubblicata la rivista Ver Sacrum, primavera sacra, che evoca la rinascita a cui erano chiamate tutte le arti, in un perpetuo rinnovamento che tenesse conto della gloriosa tradizione precedente. Negli ultimi anni del XIX secolo Klimt è nominato presidente della Secessione, mentre nel primo decennio del ‘900 si scalano le sue opere fondamentali. La prestigiosa commissione del soffitto dell’aula magna dell’Università, con le allegorie della Medicina, Filosofia e Giurisprudenza viene interpretata da Klimt in modo assolutamente originale e lontano tanto dalla tradizione pittorica quanto dalla rassicurante visione positivista.

Quando nel 1900 appare il dipinto la Filosofia, e a seguire la Medicina e la Giurisprudenza – che illustrano grandi scene turbinose dove le presenze umane sono in balia delle forze cosmiche della natura – tutte queste tele suscitano uno scandalo che Klimt, offeso dalle accuse di pornografia e incapacità, affronta orgogliosamente, ritirando i dipinti e restituendo il compenso. La Giuditta I, il fregio di Beethoven e il fregio Stoclet sono opere realizzate con un crescendo di simbolismo esistenziale e arcaico mistero, sempre più raffinate e sperimentali nel riprendere e reinventare stilemi antichi, giocando sulla centralità della figura femminile, sensuale ed erotica, tentatrice e maliarda, che evoca forze primordiali di dirompente e freudiana modernità.

Il viaggio in Italia del 1903 e l’incontro con i mosaici bizantini di Ravenna contaminano lo stile di Klimt in direzione ancor più antinaturalistica, magica e atemporale, dando il via al periodo aureo.

I ritratti restano la cifra del suo successo, commissionati dalla borghesia ansiosa di possedere un dipinto dell’artista che con ogni nuova opera faceva parlare di sé, tra plauso e scandalo.

L’ultimo decennio della vita è segnato da una crisi personale, dai rovesci finanziari delle ultime mostre della Secessione, e dalla presa di coscienza che i giovani artisti, come il suo allievo Egon Schiele e Oscar Kokoschka segnano l’inevitabile superamento del suo linguaggio.
La presa d’atto che “I giovani non mi capiscono più. Stanno andando altrove” non lo abbatte, e trova la forza di reagire, interpretando le nuove istanze coloristiche dell’epoca e approdando alla sua ultima maniera, lo stile fiorito, in cui abbandona l’oro e l’astrazione geometrica per una entusiastica interpretazione ornamentale, fiorita e vivace dei soggetti e degli sfondi.

Trascorre le sue estati sull’Attersee, tra le Alpi nei pressi di Salisburgo, dove dipinge paesaggi densi di emozione, con un uso del colore più libero e lirico.

Il carattere fondamentalmente schivo, timido e taciturno – non remissivo come dimostrano le sue schermaglie con il mondo accademico per le critiche ai quadri per le Facoltà dell’Università – ritma una vita metodica, divisa tra il lavoro in atelier e la casa delle sorelle, come un qualsiasi tranquillo borghese. Quest’indole non gli ha impedito di esplorare le dimensioni instabili dell’inconscio, l’oscuro e il proibito, e di intrattenere numerose relazioni sentimentali ed esser stato riconosciuto padre di 14 figli illegittimi.
Colto da un colpo apoplettico muore per sopraggiunte complicazioni il 6 febbraio 1918.

“L’universo klimtiano si concentra sulla donna come idolo malsano e ossessivo e raccoglie la sfida al moralismo già lanciato da Schnitzler e Hofmannsthal, dalla misoginia di Weininger o dal motore erotico di Freud. Ecco allora corpi scomposti o riassorbiti in un decorativismo fortemente allusivo, ma nell’eterno divenire dell’essere umano anche l’ambiguo potere erotico della femme fatale cede allo spettro della morte.”
(Federico Zeri)
