Chiedo scusa a loro signori se ardisco a presentarmi, perché sono quasi certa che molti mi conoscano come la “Dama con l’ermellino”.
Cecilia, in realtà mi chiamo Cecilia Gallerani, e sono stata l’amante di Ludovico il Moro.
All’epoca avevo 16 anni ed era un vanto esser la favorita del Signore di Milano.
Perché i matrimoni degli aristocratici si stipulano come i contratti d‘acquisto dei regni: si decide a tavolino a quale altra Signoria non è opportuno dichiarare guerra, e per risparmiare denaro e vite umane, si stipula un’alleanza, che viene suggellata con la scelta di una sposa.
Ecco cos’era la duchessa Beatrice d’Este per il mio signore Ludovico. Una clausola di non belligeranza.
Poi, solo occasionalmente, nella coppia poteva nascere un’amicizia, la stima, la complicità per l’esercizio del potere, l’amore….
Ma quelli che devono nascere necessariamente sono i figli, perché la certezza della progenie è un elemento fondamentale per la saldezza del casato.
Gran donna Beatrice d’Este. Tutto il popolo amava la Duchessa di Milano.
Persino Ludovico.

Io però ero la passione del Duca.
Sapete come si conquista un ruolo così importante?
Con un rituale di corteggiamento antico: si trascorreva un tempo interminabile di sguardi, di dubbi, che procrastinavano all’infinito l’appagamento dei sensi.
E questo rito prevedeva che il Signore incaricasse un bravo pittore di immortalare in un ritratto la bellezza della propria amata.
E Ludovico scelse Leonardo.
Poi bisognava ingaggiare un poeta prezzolato per cantare le lodi del ritratto e della dama.
E infine la prescelta, assediata da tante attenzioni, cedeva alle lusinghe del suo Signore.
Fu proprio così che avvenne.
A corte si sono sprecati i sonetti sulla venustà della Dama con l’ermellino.
Lascio volentieri a Beatrice d’Este il ruolo di duchessa! Io voglio essere ricordata come l’amante del Duca.
In quegli anni a corte eravamo molte a contenderci i suoi favori.
Non ho mai temuto troppo le mie rivali, perché mentre posavo per il ritratto già portavo in grembo il figlio di Ludovico.
Ludovico aveva appetiti… importanti, ma io sola lo facevo ridere…
L’esercizio del potere incupisce e l’amore serve a restituire la gaiezza ai giorni del governo.
Sapevo di esser la donna più bella ed elegante della corte.

Quando ha cominciato gli studi per il mio ritratto, Messer Leonardo ha pensato di mettermi davanti a una finestra, come le sue Madonne, ma nei secoli questo sfondo deve essersi perso con le ridipinture.
E mi ha chiesto di vestirmi come volevo esser ricordata in eterno.
Così ho sfoggiato un’acconciatura alla moda spagnola, con i capelli divisi alla sommità della testa, che vanno a coprire le orecchie, e raccolti sul retro nel “coazzone”, una treccia composta con nastri preziosi e capelli.
Una ciocca a destra, passata sotto il mento, era un’estrosità piuttosto in voga in quel periodo. Non tutte però potevano sfoggiarla con la mia disinvoltura.
Per fortuna non avevo il doppio mento del Moro!
Come vedete, porto un solo gioiello. Ero decisamente più sobria e raffinata rispetto a tante dame mie contemporanee: una collana stretta intorno alla gola e poi lasciata cadere sul petto.
Ma il materiale del mio gioiello resta a tutt’oggi un mistero per voi. Ambra nera, onice, corallo nero e agata?
Forse semplici granelli di pasta profumata, per i quali scoppiò, in pieno Rinascimento, una vera e propria mania.
E poi il vestito preziosissimo è una mia creazione, realizzato con strisce di tessuto provenienti da tutta Italia e persino dalla Spagna. Anche la foggia era nuova, con la gonna scampanata. Peccato che non si veda la parte inferiore del dipinto!
Se volete sapere chi era la regina della moda e del gusto di Milano… l’avete davanti.
Per avermi tutta per sé, Ludovico mi ha fatto sposare un cortigiano compiacente, che lasciasse in disparte l’onore e l’orgoglio e che traesse il massimo vantaggio dalla posizione di sua moglie come amante del Duca.
E poi, quando il Moro si è stancato di me, o meglio, quando ha concesso a Beatrice di esercitare il suo diritto di moglie, mi sono ritirata in campagna, nelle terre di mio marito.

Ma torniamo al bel tempo trascorso a corte.
Vi chiederete come mai porto in braccio un animale così esotico: un ermellino. Tutto merito dei poeti di corte, a cui piace creare delle sciarade, dei giochi intellettuali tra le parole e le immagini.
Spesso li capiscono solo loro.
E voi lo sapete il perché?
In greco ermellino si dice galè, una parola molto simile al mio cognome, Gallerani. Ma non è finita qui. L’ermellino rimanda anche al titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino, di cui Ludovico venne insignito dal re di Napoli.
E poiché in pochi conoscono il greco e gli ordini cavallereschi, sono conosciuta come la dama con l’ermellino, un animale che secondo gli antichi filosofi rappresenta l’equilibrio e la pacatezza; forse non proprio adatto al mio spirito così resoluto.
Questo giochetto non è parso vero a Messer Leonardo. Tutto felice ha fatto arrivare un ermellino da non so dove, lo ha studiato e disegnato in movimento, lo ha quasi addomesticato.
Lo ha ritratto con la zampina alzata, in posa araldica, come fosse l’animale del mio blasone nobiliare.
Notate che ha messo la medesima cura nel ritrarre me e l’animale, anzi sembra che abbiamo la stessa posa, lo stesso atteggiamento.
Sembra che siamo stati sorpresi da qualcuno che è entrato nella stanza e ci siamo girati di scatto, entrambi.
Per questo non vi guardo fisso negli occhi. Non è affatto cortese fissare gli sconosciuti. Siete voi che dovete girarmi intorno come fossi una statua, muovendovi a destra e a sinistra, per intercettare il mio sguardo.
Ma vi avverto. Nella pittura di Leonardo risiede la magia di una bellezza eterna.
Quindi confessate che vi ho stregato!
Leonardo da Vinci (1452-1519), “La dama con l’ermellino. Ritratto di Cecilia Gallerani”, 1488-90, Museo Nazionale di Cracovia.
