Sono rinchiusa in questa cornice da più di 150 anni. Cominciano ad essere troppi per non sentirli pesare, come la solitudine. A volte mi piacerebbe iniziare una conversazione con qualche visitatore, ma la fretta con cui li vedo passare mi infastidisce e così, rimango muta. Non sono ancora abituata alla velocità che caratterizza i tempi contemporanei. Con le teste chinate su quei piccoli oggetti, vivete in una dimensione che non è la mia. Vi vedo passare oltre la cornice e sedervi nelle sale più grandi, guardare distratti i dipinti più famosi, lasciandomi sola. Vi vedo passare e ogni tanto vorrei urlare, con un moto di rabbia stracciarmi le vesti logore e stropicciate che indosso da sempre… ma non posso muovermi, non posso muovermi.
Sono seduta qui e reprimo il pianto e la rabbia da anni. Ogni tanto arriva qualche scolaresca e magari un professore spende un po’ del suo tempo a guardarmi con occhi velati di commozione. Mi accarezza con lo sguardo mentre ricorda ai suoi allievi che sono io sono l’Italia, dipinta da Francesco Hayez nel 1850.
Sono un’Italia che all’epoca non c’era e che non si poteva rappresentare! Impersonavo una nazione clandestina, ancora non nata, che covava nell’ombra il proprio fermento. Anche se in quel momento mi sentivo frustrata per le molte sconfitte subite, nell’anima ero orgogliosa del mio segreto. Con uno sguardo ammaliavo tutti gli italiani, che facevano la fila per vedermi, e riaccendevo in loro la speranza della vittoria, e nel contempo affascinavo i nostri oppressori, gli austriaci, e li lasciavo sognare amplessi convulsi con una misteriosa sconosciuta.
Io sono l’Italia e non importa se nella realtà sono stata una modella in carne e ossa, l’amante del pittore. Non sono stata mai una donna normale. Ero un simbolo talmente potente che non potevo essere esposta con il mio vero titolo: “Storia d’Italia”. Gli austriaci non dovevano legger il dorso di questo libro, che tengo in mano, vergato con un filo d’inchiostro rosso, come il sangue versato dai martiri delle Cinque Giornate di Milano.
Stringo anche il crocifisso, conficcato nella carne del palmo, quasi fosse un pugnale, per difendermi contro il mondo che mi voleva schiava.
Ma ora… ora sono cambiati i motivi per cui vorrei piangere e affliggermi, e forse potrei diventare un simbolo diverso. Qualcuno nota il mio sguardo, scuro e spietato che racconta una storia di dolore e di riscatto. Non vedete che ho gli occhi tumefatti come tutte le donne che vengono percosse dai loro amanti e mariti?! A loro, con il mio torvo piglio, voglio infondere la forza per rialzarsi e cambiare, come a quel tempo io trovai lo spirito per insorgere contro lo straniero.
In alcuni giorni guardo questa cornice e desolata mi sembra di dover rimanere una bellissima illusione, chiusa nella mia disperazione di un presente con scarsa storia. Sono passati 150 anni dall’Unità e il mio scopo è ormai cambiato.
Non sarò più l’Italia da creare, ma mi sento un’Italia da rifondare, violata nei valori civili su cui nacque. Oltre la cornice di questa prigione vedo l’indifferenza verso il nostro grande passato, la mancanza di considerazione, l’arrivismo senza ideali. Più di tutto mi ferisce la mancanza di rispetto nei confronti della bellezza del nostro Paese.
Vedo tutto questo scempio morale e rimango accigliata a pensare al futuro, meditando di rialzarmi ancora, ancora, ancora.
Francesco Hayez, la meditazione, 1851 – Galleria d’arte moderna, Verona
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Racconto d’arte classificato al 3° posto al Concorso “Carne e Spirito: le donne si raccontano”, Pordenone 2016
